Ecco il segreto motivazionale di Gladys McGarey, attiva fino a 103 anni

Oltre un secolo di vita vissuta pienamente

Gladys McGarey non è stata solo una longeva centenaria. È stata un simbolo di rinascita, di coraggio silenzioso, di fiducia incrollabile nella vita anche quando sembra farti a pezzi.

Nata nel 1921 e scomparsa nel 2024 a 103 anni, ha attraversato guerre, rivoluzioni sociali, dolori intimi e grandi trasformazioni culturali. Ma ciò che la rende indimenticabile non è solo la sua età straordinaria, bensì il modo in cui ha scelto di vivere ogni stagione della vita, anche quelle che molti considerano “in discesa”.

Quando a 70 anni affrontò un divorzio che avrebbe potuto spezzarla, Gladys non si arrese. Non si chiuse nel rimpianto o nella nostalgia. Al contrario: decise che era tempo di cominciare davvero.

In un mondo che spesso considera la vecchiaia come una resa, lei l’ha trasformata in inizio. Ha fondato istituzioni, ispirato migliaia di persone, scritto libri, tenuto conferenze, abbracciato la medicina come arte dell’ascolto e del cuore. Fino agli ultimi mesi di vita, ha continuato a seminare domande, visioni, sorrisi.

La sua storia è un invito potente: finché c’è respiro, c’è spazio per scegliere. Per cambiare, amare, dire “adesso basta” o “adesso comincio”.

Gladys McGarey è la prova che la fioritura dell’anima non ha età. Serve solo il coraggio di credere che non è finita, finché non è davvero finita.

Le radici: infanzia tra Oriente e Occidente

Gladys McGarey nacque nel 1921 in India, figlia di due medici missionari cristiani protestanti americani. Crebbe tra le polverose strade del subcontinente, in un mondo che mescolava spiritualità, povertà e contatto diretto con la sofferenza umana. Non fu un’infanzia facile, ma fu un terreno fertile per la sua sensibilità profonda verso la vita.

Il suo primo ricordo legato alla medicina non fu un libro o una lezione accademica, ma una ferita da curare in una capanna di fango. La medicina, per lei, non è mai stata un atto tecnico: è nata come gesto d’amore, tra mani sporche e occhi attenti. Già da bambina imparò che il dolore non va evitato, ma ascoltato.

Ma quella bambina curiosa, piena di domande e intuizioni, si scontrava con i limiti del suo tempo. Essere donna, e voler diventare medico, era una sfida controcorrente. Cresciuta in un’epoca in cui alle donne si chiedeva di essere silenziose, di supporto, invisibili, Gladys non si accontentò. Portava dentro di sé una chiamata profonda: quella di servire la vita, tutta intera, anche nelle sue crepe.

E quando si trasferì negli Stati Uniti per studiare medicina, si trovò di fronte a un’altra frattura: il mondo scientifico occidentale, secco, analitico, diviso tra organi e sintomi. Era un mondo diverso da quello vissuto in India, dove corpo e spirito non erano separati.

Questa frizione — tra Oriente e Occidente, tra accoglienza e razionalità, tra donna e sistema maschile — la plasmò profondamente. Non come ferita, ma come seme: il seme di una medicina diversa, più umana, più viva. Una medicina che avrebbe preso forma solo decenni dopo, ma che già allora abitava in lei, silenziosa.

Diventare medico in un’epoca ostile alle donne

Quando Gladys McGarey decise di diventare medico, non stava semplicemente scegliendo una professione. Stava sfidando un’intera cultura. Negli anni ’40, negli Stati Uniti, le donne in medicina erano rarissime. Quelle poche che ce la facevano dovevano accettare una rigida maschera di freddezza, competizione e adattamento a modelli maschili. La cura non era vista come ascolto o empatia, ma come controllo, diagnosi, protocollo.

Gladys non si riconosceva in tutto questo, ma resistette. Con determinazione tranquilla e una visione interiore forte, portò avanti i suoi studi, spesso sentendosi fuori posto. Essere l’unica donna nella stanza. Essere la voce ignorata. Essere quella che ascoltava il paziente mentre gli altri guardavano solo la cartella clinica. Era scomoda. Ma non si piegò.

Contemporaneamente, affrontava le sfide della vita personale. Si sposò, ebbe sei figli e, come molte donne della sua generazione, portava sulle spalle il peso di tutto: casa, famiglia, lavoro. I suoi sogni di ricerca e visione medica più ampia venivano spesso messi in secondo piano, soffocati dal dovere, dalla fatica, dalla mancanza di spazio per sé.

Eppure, anche in quella compressione, non smise di sentire che c’era qualcosa di più. Una medicina che non curava solo il sintomo, ma la persona. Una visione che integrava corpo, emozione, storia, energia. Una medicina che avrebbe avuto bisogno di una rivoluzione culturale per essere accettata.

Le sue prime esperienze professionali le confermarono che la malattia non è mai solo fisica. Le persone le parlavano di sogni, di dolori nascosti, di vuoti interiori. Lei ascoltava. Annotava. Osservava. E in silenzio, cominciava a costruire un nuovo paradigma — uno che, ancora una volta, il mondo non era pronto ad accogliere.

Ma Gladys non aveva fretta. Sapeva che certe verità hanno bisogno di tempo. E intanto, continuava a camminare. In avanti. Anche se da sola.

Un matrimonio lungo e difficile

Per gran parte della sua vita, Gladys McGarey ha portato avanti non solo una missione professionale, ma anche un matrimonio complesso e diseguale. Sposata con Bill McGarey, anch’egli medico, ha vissuto accanto a un uomo con cui condivideva ideali e visione, ma che spesso oscurava la sua voce e il suo spazio. In molte interviste, Gladys ha raccontato la solitudine profonda che si può vivere anche stando in due.

Nonostante abbiano co-fondato insieme una clinica e condiviso anni di attività olistica, nel tempo si è fatto sempre più evidente che Gladys stava sacrificando troppo di sé. Le sue intuizioni venivano messe in secondo piano. Le sue idee, usate ma raramente riconosciute. E nel ruolo tradizionale che le era stato assegnato — moglie, madre, supporto silenzioso — cominciava a sentirsi smarrita.

Il punto di rottura arrivò tardi, quando aveva già 70 anni. Dopo una vita di tentativi, compromessi e adattamenti, Gladys scelse di lasciar andare. Si separò dal marito, chiudendo un capitolo lungo e logorante. E fu, come spesso accade, un terremoto.

“Dopo il divorzio non riuscivo nemmeno ad alzarmi dal letto,” raccontò. “Non riuscivo a immaginare una vita fuori da quel ruolo.”

Eppure fu proprio quel vuoto, quella crisi, quella caduta verticale nel dolore a riaccendere qualcosa di vero. Per la prima volta, Gladys non era più al servizio della famiglia, della relazione, del dovere. Era sola — e libera.

A 70 anni suonati, si ritrovò come una giovane in cerca di se stessa. Solo che ora aveva esperienza, visione, e una fiamma che non si era mai spenta del tutto. Quel momento così difficile diventò la porta per una nuova nascita. Una vera.

Il punto di svolta: scegliere la propria vita dopo i 70

Per molte persone, i 70 anni segnano l’inizio del ritiro. Il tempo del “tirare i remi in barca”. Ma per Gladys McGarey, è stato l’opposto: una soglia, un punto di non ritorno, un invito a cominciare da sé.

Dopo il divorzio, cadde in una crisi profonda. Le sue parole non lasciano dubbi:

“Non avevo più energia. Non vedevo uno scopo. Il mio corpo si stava spegnendo. Ma una vocina dentro continuava a ripetermi: sei ancora viva, quindi c’è ancora qualcosa per te.”

Fu quella voce — fragile, ma tenace — a riportarla lentamente in piedi. E non solo metaforicamente.

Iniziò a camminare ogni giorno, letteralmente. A rimettere in movimento il corpo e lo spirito. Si diede un compito, semplice ma decisivo: scoprire chi fosse, al di là di ogni ruolo giocato fino ad allora. Non più solo madre, moglie, dottoressa. Ma Gladys, viva.

Fu in quel tempo che elaborò, maturò e definì la sua visione più profonda: la medicina viva, un approccio che integra corpo, anima, emozione, movimento e scopo esistenziale. A partire da sé stessa.

Non solo tornò a lavorare con più determinazione di prima, ma cominciò a parlare pubblicamente, a scrivere, a condividere con il mondo ciò che per anni aveva tenuto in secondo piano. A 78 anni fu cofondatrice dell’American Holistic Medical Association; a 90 faceva ancora visite; a 102 pubblicò il suo libro più importante.

Quel che era iniziato come crollo si rivelò un risveglio. Il dolore non l’aveva distrutta. L’aveva scorticata, sì. Ma sotto quelle ferite c’era un’identità più vera, più intera.

“Tutti abbiamo una medicina dentro di noi. Ma serve un crollo, a volte, per ricordarci che siamo vivi.”

La rivoluzione olistica

La medicina che Gladys McGarey aveva sempre sognato — quella che ascolta, abbraccia, integra — era ancora lontana dall’essere riconosciuta. Ma dopo il suo risveglio personale, decise che non avrebbe più aspettato il permesso di nessuno per praticarla.

Nel 1978, a 78 anni, fu cofondatrice dell’American Holistic Medical Association (AHMA), una delle prime organizzazioni ufficiali a promuovere un modello di salute basato sull’unità tra corpo, mente, spirito e relazioni umane. In un’epoca in cui il linguaggio della medicina era ancora meccanicistico e frammentato, Gladys parlava di empatia, significato, energia vitale.

Non fu semplice. Gli ambienti accademici la guardavano con scetticismo. Alcuni colleghi la ritenevano “troppo spirituale”, “non scientifica”, “fuori dai protocolli”. Ma lei non cercava approvazione: cercava verità. E sapeva, dal vissuto personale e clinico, che molte guarigioni non passano solo dalla farmacologia, ma da scelte di vita, relazione, perdono, affetti.

La sua idea rivoluzionaria si basava su un principio semplice quanto potente:

“La medicina non è solo ciò che fai al corpo, ma anche ciò che nutre la tua energia vitale.”

Fu così che nacque il suo concetto distintivo di medicina viva, in cui la guarigione non è solo un intervento tecnico, ma un processo che coinvolge il senso stesso dell’esistenza. Secondo Gladys, non basta “curare”; bisogna aiutare la persona a ritrovare connessione con ciò che la tiene in vita: uno scopo, una relazione, un desiderio, un sogno.

In un mondo dove spesso il paziente viene trattato come un caso clinico, lei riportava al centro la persona. E lo faceva non da predicatrice, ma da testimone vivente.

Perché lei per prima, dalla caduta, aveva ricominciato a guarire.

Longevità attiva: vivere fino in fondo

Quando si pensa a chi supera i cento anni, si immagina spesso una figura fragile, seduta ai margini della vita. Ma Gladys McGarey ha ribaltato questa immagine: a 90 anni curava ancora pazienti. A 100, partecipava a conferenze. A 102, scriveva libri e dava interviste. Non per ostinazione, ma per amore della vita.

Nel 2023, a 102 anni, pubblicò The Well-Lived Life, un libro diventato in pochi mesi un riferimento mondiale per chi cerca senso, guarigione e ispirazione a ogni età. Lo scrisse con lucidità, ironia e verità. Non offriva formule magiche, ma esperienza viva.
Parlava da chi ha attraversato tutto — e ha scelto di non chiudersi mai.

“Fintanto che sei viva, c’è un motivo. E anche se non lo conosci, puoi fidarti del fatto che esiste.”

Gladys camminava ogni giorno. Faceva meditazione. Si prendeva cura del proprio spazio mentale. Continuava a imparare. E continuava a chiedersi come poteva essere utile agli altri. Questa domanda, più di ogni medicina, è stata forse il suo elisir.

La vecchiaia, per lei, non era declino ma trasformazione. Non il tempo della resa, ma della sintesi. Raccontava di sogni lucidi, visioni interiori, intuizioni che arrivavano proprio perché il corpo si faceva più silenzioso. Per lei, l’invecchiamento era anche un processo spirituale.

Anche quando la vista calava e le forze diminuivano, non si è mai definita “alla fine”. Diceva:

“Quando la tua energia vitale trova uno scopo, tu sei ancora in cammino.”

E in effetti, è rimasta in cammino fino alla fine.

Morire vivendo

Gladys McGarey si è spenta il 28 settembre 2024, all’età di 103 anni. È morta come ha vissuto: con grazia, presenza, consapevolezza. Circondata dalla sua famiglia, in casa, senza clamore. Nessuna grande dichiarazione finale. Nessun addio plateale. Solo il compimento naturale di un viaggio lungo, profondo, pieno.

Ma non è davvero “morta”: ha semplicemente completato il cerchio.

Fino a pochi mesi prima, aveva continuato a partecipare a eventi pubblici, a pubblicare riflessioni, a rispondere alle lettere di chi le scriveva da ogni parte del mondo. Il suo approccio non era mai stato centrato sul sé, ma sul dono. Sulla trasmissione.

“Non sono qui per insegnarti cosa fare. Sono qui per ricordarti che sei vivo.”

E questo è ciò che ha lasciato: una medicina che cura con l’ascolto, che riconosce la forza della gioia, che crede nel potere dell’intenzione e del significato. Una visione della salute come partecipazione attiva alla vita, anche nei momenti di fragilità o incertezza.

La sua Foundation for Living Medicine continua il suo lavoro, sostenendo iniziative che mettono al centro la persona e promuovono un’integrazione reale tra scienza, spiritualità e umanità. Ma ancora prima delle istituzioni, il vero lascito di Gladys è interiore: è la voce che risuona dentro chiunque l’abbia ascoltata dire:

“Finché sei viva, c’è qualcosa che solo tu puoi portare nel mondo.”

È con questa voce che continua a vivere, ben oltre la soglia del tempo.

Le 5 “L” della vita secondo Gladys

Nel corso della sua lunga esistenza, Gladys McGarey ha identificato cinque pilastri fondamentali per una vita piena, autentica e curativa. Le chiamava semplicemente le 5 “L”. Non erano concetti teorici, ma esperienze vissute, distillate in parole semplici e potenti.

1. Love – Amore

Tutto inizia dall’amore. Ma non l’amore romantico o idealizzato: l’amore come forza vitale, direzione interiore, atto quotidiano.

“L’amore è la corrente che alimenta la vita. Senza amore, la guarigione non può iniziare.”

Gladys credeva che amare — sé stessi, gli altri, il mondo — fosse il primo e più potente atto terapeutico.

2. Life – Vita

Non la vita come mera sopravvivenza, ma vita piena, consapevole, incarnata.

“Non basta respirare per essere vivi. Serve una scintilla, un motivo, una direzione.”

Per lei, ogni giorno era un’occasione per partecipare attivamente alla vita, qualunque fosse l’età o la condizione fisica.

3. Laughter – Risata

La risata, diceva, scioglie il dolore e riattiva la guarigione.

“Quando una persona riesce a ridere, anche in mezzo al buio, qualcosa dentro comincia a guarire.”

Gladys usava l’umorismo come medicina, persino negli ospedali. Un gesto leggero può aprire porte che mille parole non riescono a scardinare.

4. Labor – Lavoro

Il lavoro non come dovere, ma come espressione di sé, contributo al mondo, azione con significato.

“Abbiamo bisogno di sapere che ciò che facciamo conta. Che possiamo essere utili.”

Per Gladys, avere uno scopo — anche piccolo — è ciò che tiene acceso il motore della vitalità.

5. Listening – Ascolto

L’ascolto vero: del corpo, del cuore, degli altri, della vita.

“L’ascolto è la base di ogni cura. Se impariamo ad ascoltare davvero, possiamo sentire dove serve andare.”

Nel suo approccio clinico, ascoltare era più importante che diagnosticare. Perché senza ascolto, nessuna medicina funziona.


Le 5 “L” non erano una teoria, ma una pratica. Una bussola. Un’eredità da raccogliere, non solo da citare.

Perché la sua storia ci interessa

La storia di Gladys McGarey non è solo quella di una donna straordinaria. È anche — e soprattutto — la storia di chi, nella propria vita, ha attraversato crisi, ha perso sé stesso, e poi ha scelto di ricominciare.

Molte persone vivono momenti in cui si sentono finite:
– dopo un divorzio
– dopo un lutto
– dopo la pensione
– dopo che i figli se ne sono andati
– dopo che il corpo comincia a cedere
– dopo che il mondo ti mette da parte

Eppure, in quel “dopo” può nascere qualcosa di nuovo.
Gladys ci ha mostrato che anche quando tutto sembra concluso, c’è ancora un possibile “sì” da pronunciare alla vita. Ma serve ascolto. E serve il coraggio di non identificarsi con il dolore.

“Il dolore ci visita. Ma non è casa nostra. Possiamo ascoltarlo… e poi andare oltre.”

La sua storia ci riguarda perché ci libera dall’idea che esistano età giuste o sbagliate per vivere pienamente. Ci ricorda che non dobbiamo aspettare che qualcuno ci dia il permesso per cambiare direzione. E che non è debole chi crolla, ma chi smette di cercare un senso, anche dal fondo.

Gladys non aveva superpoteri. Aveva solo una scelta chiara, ripetuta mille volte:
“Mi rialzo. Mi ascolto. Mi muovo.”

Ed è questo che possiamo portare con noi.

Perla motivazionale finale

“Fintanto che sei viva, c’è una ragione. Cercala. Ascoltala. E muoviti con lei.”
Gladys McGarey

Non importa dove ti trovi. Se hai 30, 50 o 80 anni. Se sei stanca, delusa, arrabbiata o svuotata.
Se c’è ancora un battito dentro di te, c’è ancora strada.
E puoi sceglierla. A modo tuo. Al tuo passo.

Gladys McGarey ci lascia un messaggio limpido, radicale, potente nella sua semplicità:
non sei mai troppo rotta per ricominciare.
E soprattutto:
non sei mai troppo vecchia per vivere qualcosa di nuovo.